Nel quadro delle passioni orientalistiche, l’egittomania copre un settore vasto e multiforme, ora geniale ora kitsch, dove l’ispirazione all’arte decorativa dell’antico Egitto spazia dalla musica all’architettura, dall’arredamento ai gioielli, dal teatro al trucco. Dalla fine del Settecento in poi, le case borghesi si riempiono di soprammobili a forma di obelisco, sfingi e piramidi. Tramontata la moda "impero" dello stile "ritorno dall’Egitto" di memoria napoleonica, l’art nouveau si lancia con entusiasmo sulle scoperte archeologiche egiziane per disegnare mobili, gioielli, costumi e bozzetti per balletti. Già prima della spedizione napoleonica d’Egitto l’architetto e incisore Giambattista Piranesi (1720-1778) era diventato famoso per le sue improbabili decorazioni egizie di interni; un secolo dopo il librettista Camille Du Locle trae da una novella del famoso egittologo francese Auguste Mariette materiale per l’Aida, musicata da Giuseppe Verdi e messa in scena per la prima volta proprio al Cairo nel 1871. Il gusto per l’Egitto ha influenzato anche la letteratura, da quella colta, come la tetralogia Joseph und seine Brüder (Giuseppe e i suoi fratelli, 1932-43) di Thomas Mann a quella divulgativa, recentissima, di Christian Jacq (il ciclo di Ramses II), passando per il best-seller mondiale Sinhue l’egiziano (1945), del finlandese Mika Waltari, rivisitazione del bellissimo Racconto di Sinuhe, un "classico" della lettura del Medio Regno. Ma nel XX secolo, a partire dagli anni Trenta, è stato soprattutto il cinema a celebrare la fortuna dell’antico Egitto, con produzioni spesso anche fastose (I dieci comandamenti,1956; Cleopatra, 1963), mentre in televisione le mummie, le piramidi e i loro misteri, la Sfinge sono oggetto di molti talk show. In musica l’Egitto è tornato ai nostri giorni con Akhnaten (1984), opera di grande suggestione del compositore Philip Glass.